L'amichetto (27 - 53) La casa era quella in cui a Piero
piaceva molto andare. La mamma sta conversando con lo zio
Luis. Sta raccontandogli il salvataggio che Piero e suo fratello hanno
escogitato per i tre topolini caduti nella vasca da bagno. Verso la fine degli anni venti la nonna Cristina si era ammalata - fa una pausa e sorride - Non era una cosa grave, ma era mortale. Si era ammalata di vecchiaia. Si era ritirata nella sua stanza e non ne usciva più. Piero è seduto sotto il fico, i gatti
si strusciano sulle sue gambe. Lui li accarezza e ascolta le voci della
mamma e dello zio che escono calme e chiare dalla porta del tinello. Era un continuo andirivieni di
gente. I figli che salivano a salutarla, le inservienti di casa che prendevano
ordini, amici e amiche che venivano a fare due chiacchiere. Piero intravede lo zio dalla porta, ha interrotto il racconto. Sorride e guarda i canarini nella loro voliera. La nonna era seduta al centro del
letto, tre cuscini le sorreggevano la schiena, un piccolo tavolino con
le gambe corte era appoggiato sulle lenzuola: aveva finito di mangiare.
Cerano ancora un po' di avanzi nel piatto. Piero sente la mamma che ride, "Adesso capisco perché hai detto che buon sangue non mente" Dopo quell'episodio, ogni volta
che salivo a salutare la nonna, le chiedevo notizie del suo amico. Lei
me ne parlava con disinvoltura, "Oggi era in ritardo, mi chiedo come
mai. Ma non ha dato spiegazioni: lui è di poche parole" e sorrideva.
Piero accarezza i gatti e fantastica.
Oggi, la compagna di Piero si chiama Cristina.
L'anatema (20 - 53) Si chiamava Napoleone. Di lui Piero
ha un vago ricordo: piccolo, determinato, con un pizzetto bianco alla
D'Annunzio. E sempre in vena di brontolare. Dei quattro fratelli Napoleone era
la cosiddetta pecora nera. Vedi, Pucetto - racconta la
nonna - Napoleone era fatto così: aveva sempre bisogno di denaro. Ora
bussava alla porta di mia sorella Gilda, ora alla nostra, ora a quella
di mio fratello Guglielmo. Luciana passa lo spazzettone
sulle piastrelle rosse del corridoio. Il profumo di cera arriva fin dentro il salotto. "Nonna, nonna raccontami dell'episodio della gondola. E' vera quella storia?" Sì, sì, purtroppo è vera. Napoleone,
come noi, passava le vacanze estive a Cattolica. Qui era nata una discussione
con gli abitanti del luogo su chi fosse miglior marinaio tra i veneziani
ed i cattolichini. Entra Bepi con due tazze di cioccolato "Nol studia ancò el paronsin?". La tazza più colma la appoggia davanti a Piero. "Dopo, dopo, adesso sto ascoltando una bella storia" e poi rivolto alla nonna: "Beh, nonna, che valore ha una maledizione. Mica aveva dei poteri magici." Certo che no, Pucetto. Però poi
successe una cosa strana. la nonna fa un lungo sospiro: Guido ha avuto quattro figlie femmine,
Toti altrettanto. Nico, dopo aver avuto anche lui quattro femmine, ha
avuto un ultimo figlio. Un maschio, ma poco dopo la nascita ci si è accorti
che aveva dei problemi con il cromosoma 21. "Ma che strano nonna. Tu cosa credi?" La cioccolata era finita e la nonna si passa il tovagliolino sulle labbra. Mah, Pucetto, io non credo nulla. Però la cosa è a dir poco sorprendente. Va, va, corri a studiare. Per oggi ti ho fatto perdere anche troppo tempo. Gli passa una mano tra i capelli e lui si incammina verso la sua stanza, lei lo segue con lo sguardo amorevole di sempre. Piero si volta le fa un cenno con la mano. La nonna lo guarda per un attimo, poi gira il viso ed estrae un fazzolettino.
Romolo (fine Ottocento - 54) A Piero piace ascoltare il papà quando racconta la storia strana ed avventurosa del nonno Umberto. Ma questo accade raramente: il papà è, così dice la mamma, "di poche parole". All'età di diciotto anni, nel 1898, il nonno, assieme a due suoi fratelli più grandi, parte per Buenos Aires. Vuole aprire una fabbrica di mattoni, seguendo le orme della sua famiglia. Piero ha provato a chiedere direttamente al nonno la sua storia e la storia del suo nome. Ma anche lui è "di poche parole". Solo una volta, seduto sulla sua poltrona e con gli occhi rivolti verso la finestra, gli racconta un breve episodio. La fabbrica è subito andata molto
bene. Era ad una ventina di chilometri dalla capitale, in aperta campagna.
A questo punto il nonno fa un altro sospiro, appoggia il toscano sul posacenere, asciuga un occhio e non dice più nulla. Era fatto così! "Papà, papà, continua tu la storia
del nonno". Il papà sorride e continua. Piero non ricorda bene cosa significhi quella parola, ma immagina abbia a che fare con la terra. Il papà sorride "In quei tempi smisero di chiamarlo Umberto. Da allora fu sempre chiamato Romolo". Ecco. Lo ricorda così. Vecchissimo, seduto nella sua poltrona, con lo sguardo perso fuori dalla finestra. Non parlava mai, ma ad un cenno della sua mano arrivava subito qualcuno. Quasi sempre con un vassoio e una tazza di caffè-latte. Lo ha visto nutrirsi sempre e solo di caffè-latte. Piero torna da scuola, è il mese di
marzo, ma non c'è il temporale. E' una bellissima giornata. Non è contento,
ha preso cinque nel compito di francese. Se non rimedia non sarà ammesso
agli esami di terza media. E' il primo funerale a cui partecipa,
c'è tanta gente, ma tanta! Tutto il paese.
L'eredità (28 - 90) L'esergo non è dei migliori.
Di pugno del papà, al centro del pacco di fogli dattiloscritti,
ci sta scritto: "Veni, Vidi, Persi". Come a dire: credevo
d'essere un cesare e invece... Era un paese piccolo, ma veramente
piccolo. Otto case disposte a semicerchio. Una piccola cappella e due
panchine. Poco più avanti un ruscello, un piccolo ponte di travi di legno
e un enorme abete. Inizia così la storia scritta da suo
papà. La dettava, stando a letto a causa del femore rotto, ad una dattilografa. Terza fila di banchi dell'aula
"F" di Ca' Foscari. Lei sedeva più avanti: in prima fila. Vedevo il suo
profilo di scorcio. I capelli erano così morbidi che si poggiavano dolcemente
sulla spalla, quasi accarezzandola. Bellissima. "Chissà se avrò mai il
coraggio di rivolgerle la parola". Piero ha in mano un pacco di fogli
dattiloscritti. Pagina uno. Su un lato due sbaffi di colore nero: la carta-carbone
aveva lasciato il segno. Usciamo tutti dall'aula, la seguo.
A distanza. La nebbia è fittissima, il cielo è color latte, un piccolo
disco bianco indica che lassù c'è il sole. Attraversa il ponte dell'Accademia,
poche calli e si ferma. Sul portone una targa d'ottone lucida: Consolato
di Francia. Si gira di scatto "Voulez vous entré avec moi?".
Arrossisco "Scusatemi… ma vi ho visto in aula…voi…". Piero si siede sulla poltrona in
salotto, accende un sigaro, appoggia il fascicolo sulle ginocchia. Poggia
la testa sullo schienale e fissa il soffitto: una ragnatela è tesa sull'angolo
vicino alla finestra. Il volto del papà era bello anche così pallido come
l'aveva visto per l'ultima volta. I forti baffi grigio-rosso, gli occhiali
- che Piero ha voluto indossasse -, i capelli radi ma ancora scuri. Oggi ho indossato il vestito grigio chiaro che ho appena fatto confezionare dal sarto. Mi piace essere elegante per lei. Il traghetto per Fusina tra poco ci sbarcherà in terraferma. "Il paese è piccolo, ma molto bello. Vedrai piacerai sicuramente ai miei. Mio papà si chiama Umberto, ma tutti lo chiamano Romolo, è veramente un personaggio: piacerà anche a te". E' un pomeriggio di primavera.
Salutiamo la mamma e il papà, "Le faccio vedere la nostra
campagna". "Vai piano con quella moto". L'acqua del Brenta
scorre lenta e chiara, due cavalli, legati a lunghe funi, tirano un barcone.
Un mattone poggia sotto il cavalletto: la ghiaia è un appoggio
precario. Piero fa un sospiro, spegne il sigaro, allunga le gambe e stende le braccia. "Come mai non dice mai il suo nome?" Il gatto gli salta sulle gambe, si accuccia e inizia a ronfare. Chi avrebbe detto che tanta felicità durasse così poco? Perché così giovane? Piero si drizza sulla poltrona. "Oddio che cosa è successo?". Posa gli occhiali da miope per leggere meglio, il nastro della macchina da scrivere doveva essere alla fine: i caratteri sono pallidi. Avevo preso in affitto una mansarda
vicino all'Accademia. Era lì che passavamo i pomeriggi invece che studiare.
Il letto era di fronte ad una grande finestra, da lì vedevamo solo i tetti
rossi e una cupola. Ma io guardavo sempre il suo profilo: il naso sottile
ma deciso, le labbra grandi e ben disegnate, e, soprattutto, le ciglia
nere e lunghe. Le mie due ali di farfalla. Quando torniamo una brutta notizia:
suo padre deve partire per Parigi. Le relazioni italo francesi sono, in
questi anni, molto intense. Si preannuncia un patto a quattro: Italia,
Francia, Inghilterra e Germania. Piero si accorge che è ormai arrivato all'ultima pagina, il gatto è sempre lì che dorme sulle ginocchia. Accende un altro sigaro. Pagina trentadue. L'estate è calda e non piove
mai, sono da poco tornato dal mare. Sul tavolo del salotto ci sono due
lettere. Felicità: già due lettere. Le prendo in mano. Piero appoggia il sigaro, accarezza
la testa del gatto, alza gli occhi verso la ragnatela dell'angolo. Una
breve vertigine, sfiora con i polpastrelli i fogli di carta come per sentire
il tocco delle dita del papà. Alcuni tratti a penna indicano che
aveva portato delle correzioni di suo pugno. |